IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    Sciogliendo la riserva di decidere  espressa  dall'udienza  del  2
 maggio  1991  nel  procedimento di sorveglianza promosso da Patellaro
 Antonino, nato a Monreale il 5 agosto 1945, in  atto  detenuto  nella
 casa  circondariale  di  Palermo,  con  istanza  del 10 dicembre 1990
 diretta ad ottenere la liberazione anticipata;
    Premesso che il condannato  e'  detenuto  dal  3  marzo  1987  per
 espiare  la  pena  di anni otto e mesi due di reclusione, inflittagli
 con sentenza della corte di appello di Palermo del  9  dicembre  1988
 per   illecita   detenzione   di   ingenti   quantita'   di  sostanze
 stupefacenti;
    Ritenuto  che  con  separata  ordinanza  e'  stata  concessa   una
 riduzione di pena per il periodo dal 3 marzo 1987 al 9 ottobre 1987 e
 dal  6  dicembre  1990  al  30  aprile  1991,  trascorso  nella  casa
 circondariale di Palermo, mentre per il periodo in cui  il  Patellaro
 ha  sofferto  custodia  cautelare in regime di arresti domiciliari (9
 ottobre   1987-5   dicembre   1990)   devesi    eccepire    d'ufficio
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 54 primo comma, della legge
 26  luglio 1975, n. 354, cosi' come modificato dalla legge 10 ottobre
 1986,  n.  663,  nella  parte  in  cui  consente  la  concessione  di
 liberazione anticipata per il periodo trascorso in stato di  custodia
 cautelare  in  regime  di  arresti  domiciliari, per violazione degli
 artt. 3 e 27 della Costituzione.
    Ed, invero, filosofi e studiosi di varia estrazione hanno  cercato
 nel  corso  della  storia  di  individuare  le  caratteristiche  e le
 finalita' della pena detentiva, e progressivamente si e' fatto strada
 il problema del trattamento del detenuto nell'istituto penitenziario.
 Nei sistemi penali moderni si e' cosi' andata affermando l'idea della
 pena indirizzata  al  riadattamento  sociale  del  colpevole  e  alla
 rieducazione del condannato.
    L'art.  27  della Costituzione italiana prescrive, infatti, che le
 pene non possono consistere in  trattamenti  contratti  al  senso  di
 umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato.
    Il  legislatore  ordinario,  dopo  alterne  vicende, ha cercato di
 conformare l'ordinamento penitenziario  al  precetto  costituzionale,
 emanando la legge 26 luglio 1975, n. 354, con il relativo regolamento
 esecutivo  (d.P.R.  29  aprile  1976, n. 431). Sicche' puo' dirsi che
 l'intero  sistema  penitenziario   e'   basato   sull'ideologia   del
 trattamento come terapia di riadattamento sociale.
    I principi fondamentali del trattamento sono enunciati nell'art. 1
 della legge citata.
    Contestualmente  e  progressivamente si afferma il principio della
 flessibilita'  della  pena  e  il  c.d.  sinallagma  carcerario,  che
 consentono   attraverso  il  ricorso  alle  misure  alternative  alla
 detenzione,  di  modulare  la  pena  in  base  al  comportamento  del
 condannato,  alla  sua  risposta  pio'  o  meno intesa alle occasioni
 trattamentali  offerte  dall'o.p.  (lavoro;  istruzione;   religione;
 attivita'  culturali, ricreative e sportive; rapporti con la famiglia
 e con il mondo esterno; rapporti con gli altri  detenuti  e  con  gli
 operatori penitenziari).
    L'istituto  della  liberazione anticipata rientra perfettamente in
 questo quadro.
    L'art. 54 della  legge  citata  consente  la  concessione  di  una
 riduzione  di  pena "al condannato a pena detentiva che ha dato prova
 di partecipazione all'opera di rieducazione ...."; mentre l'art.   94
 del  regolamento  citato  indica  quali debbono essere i parametri di
 valutazione della partecipazione all'opera di rieducazione.
    Peraltro la giurisprudenza della Corte di cassazione  in  tema  di
 liberazione  anticipata  ha  contribuito  a  qualificare maggiormente
 l'istituto: e' stato affermato che occorre una partecipazione "attiva
 e consapevole", escludendosi che una condotta  puramente  passiva  di
 supina   e   disciplinata   osservanza   delle  norme  e  del  regime
 penitenziario possa giustificare la concessione di riduzione di pena;
 e che la decisione del tribunale di sorveglianza  deve  basarsi  solo
 sui  risultati  dell'osservazione  scientifica della personalita' del
 detenuto all'interno della struttura penitenziaria.
    Com'e' noto, la disciplina della liberazione anticipata  e'  stata
 modificata  dall'art.  18 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, che ha
 previsto la possibilita' della riduzione di pena anche per il periodo
 trascorso  in  stato  di   custodia   cautelare   e   di   detenzione
 domiciliare".
    Ritiene  il  collegio  che  l'innovazione  concernente la custodia
 cautelare in regime di arresti domiciliari e'  contrastante  con  gli
 artt.  3  e  27  della Costituzione, poiche' introduce una disciplina
 uniforme per situazioni strutturalmente diverse e  perche'  prescinde
 da qualsiasi funzione rieducativa.
    Va  innanzitutto messo in rilievo che il nuovo codice di procedura
 penale ha dedicato un intero libro (il quarto, dall'art. 272 all'art.
 325) alle misure cautelari, distinti in personali e reali.
    Quelle personali consistono in limitazioni a vario  livello  della
 liberta'  individuale,  nel tentativo, dichiarato dal legislatore, di
 evitare quanto piu' possibile il ricorso alla custodia  cautelare  in
 carcere, che e' la piu' afflittiva.
    Tutto  il  sistema  delle  misure  cautelari personali si basa sui
 principi di adeguatezza e proporzionalita' (art. 275 del c.p.p.) e di
 gradualita',  nel  senso  che  e'  stato  previsto   un   ordine   di
 afflittivita' crescente, nel quale alla custodia cautelare in carcere
 e' stato assegnato un ruolo residuale.
    Le  misure  cautelari  personali sono state poi distinte in misure
 coercitive e misure interdittive.
    Le prime, che sono quelle che qui piu' interessano, consistono  in
 limitazioni  della  liberta'  fisica dell'individuo (di movimento, di
 circolazione,  di  soggiorno);  divieto  di  espatrio,   obbligo   di
 presentazione  alla polizia giudiziaria, divieto e obbligo di dimora,
 arresti domiciliari, custodia cautelare in carcere  (o  in  luogo  di
 cura).
    La  misura degli arresti domiciliari e' stata pertanto considerata
 piu' afflittiva  dell'obbligo  di  dimora  e  meno  afflittiva  della
 custodia   cautelare   in  carcere,  alla  quale  e'  stata  peraltro
 equiparata per evidenti ragioni di politica criminale.  Essa,  pero',
 sul piano strutturale e' ictu oculi altro dalla custodia cautelare in
 carcere,  potendo  semmai  avvicinarsi  nella  misura dell'obbligo di
 dimora, che  puo'  essere  integrato  da  particolari  restrizioni  e
 prescrizioni  (e'  ben  noto  che l'imputato agli arresti domiciliari
 puo' essere autorizzato ad allontanarsi dalla propria abitazione  nel
 corso  della  giornata  per  lavorare  o  per provvedere alle proprie
 esigenze indispensabili).
    Deve, quindi, concludersi sul punto che la  misura  degli  arresti
 domiciliari  e'  stata  equiparata alla custodia cautelare in carcere
 solo sul piano formale, all'interno  cioe'  delle  regole  del  nuovo
 processo penale (peraltro residua qualche differenza, sulla quale non
 e'  il  caso  di  attardarsi); nella sostanza si tratta di una misura
 meno  afflittiva  e   strutturalmente   e'   piuttosto   assimilabile
 all'obbligo di dimora.
    Ne   deriva  che  applicando  indifferentemente  l'istituto  della
 liberazione anticipata ai detenuti  che  hanno  presofferto  custodia
 cautelare  in carcere o in regime di arresti domiciliari, si realizza
 una palese discriminazione a vantaggio di coloro che hanno espiato la
 pena agli arresti domiciliari.
    Va poi detto che un'altra disparita' di  trattamento  si  realizza
 come  corollario  della  precedente, quando si passa alla valutazione
 del comportamento del soggetto.
    Valga a questo proposito quanto e' dato riscontrare  nel  caso  di
 Patellaro Antonino.
    Il  commissariato  di  P.S.  Porta  Nuova  di  Palermo ha, invero,
 riferito soltanto che il Patellaro durante il periodo  degli  arresti
 domiciliari  "non  ha  dato  luogo a lagnanze, rendendosi disponibile
 durante i controlli effettuati".
    Per il periodo della custodia cautelare in  carcere  dal  3  marzo
 1987  al  10  luglio  1987  e'  stata  invece acquisita una relazione
 dell'educatore e del direttore della casa  circondariale  di  Termini
 Imerese,  che  hanno  evidenziato che il Patellaro "non e' incorso in
 alcun provvedimento disciplinare e pertanto si  presume  che  la  sua
 condotta  sia  stata  corretta  almeno sul piano formale. Non risulta
 altresi' che lo  stesso  abbia  svolto  alcuna  attivita'  lavorativa
 interna".
    Il  gruppo  di osservazione della casa circondariale di Palermo ha
 poi redatto due relazioni (in data 4 marzo 1991 e in data  22  aprile
 1991)  per  il  periodo  successivo  al 6 dicembre 1990, nelle quali,
 premessa un'analisi della storia del soggetto e della  sua  famiglia,
 e'  detto  in  particolare:  "Il  soggetto  presenta una personalita'
 stabilizzata  orientata  ai  valori  ed  alle  norme  della   cultura
 'rurale',  contrassegnata  da  tratti  marcatamente  depressivi dalla
 valenza 'persecutoria'. Appare psichicamente bene orientato nel tempo
 e nello spazio,  di  discrete  capacita'  intellettive,  senso  della
 realta'  e  spirito  critico  nella  norma,  dal  pensiero  lucido  e
 coerente.  Affettivamente   appare   ben   compensato;   l'esperienza
 dissociale  e  le premesse condizioni culturali, sembrano aver acuito
 impropriamente un atteggiamento iperprotettivo ed asocializzante  nei
 confronti  dei figli. Relativamente al reato ascrittogli manifesta la
 propria  innocenza,  rappresentandosi  vittima   di   un   non   bene
 identificato disegno persecutorio.
    L'orizzonte  esistenziale  del  soggetto  e'  contrassegnato a suo
 dire, dalla 'fuga' e dal ritiro in  campagna,  segno,  sempre  a  suo
 dire,  di  un  rifiuto  della  societa'  che  lo  ha  vilipeso.  Piu'
 verosimilmente  tale  atteggiamento  risponde   all'incapacita'   del
 soggetto  a  sostenere il confrointo pubblico per quanto ascrittogli.
 All'interno  della  struttura  penitenziaria   non   ha   evidenziato
 particolari  problemi  di adattamento, se non quelli ricollegabili al
 suo stato di salute. I rapporti col personale di custodia e  con  gli
 operatori  appaiono buoni ed improntati al rispetto. Lo stesso dicasi
 per quelli con i compagni di detenzione.
    Il soggetto, che espleta all'interno dell'istituto attivita'  come
 'inserviente',  per  problemi  di  salute  ha recentemente chiesto di
 poter cambiare l'attivita' svolta  con  altra  piu'  confacente  alle
 proprie condizioni".
    Nella  seconda  relazione e' poi precisato quanto segue: "........
 nell'ulteriore  periodo  il  soggetto  in  esame  ha   continuato   a
 manifestare  correttezza  nel  comportamento personale e ad espletare
 l'attivita' lavorativa in qualita' di 'inserviente'. Recentemente, in
 seguito ad un evento luttuoso che ha colpito la sua  famiglia  (morte
 del  cognato), il Patellaro ha fruito di un permesso con scorta della
 durata di  cinque  ore.  Il  nucleo  del  soggetto  ha  vissuto  tale
 avvenimento  con molta angoscia, e l'assenza del capofamiglia ha reso
 piu' difficile  il  superamento  delle  problematiche  connesse.  Per
 quanto concerne le prospettive di inserimento lavorativo esistenti si
 precisa  che  il  soggetto,  a cui e' venuta meno l'offerta di lavoro
 come magazziniere  presso  un  deposito  edile  di  Monreale  per  le
 difficolta'  prospettate  dal  datore  di  lavoro  circa  la regolare
 assunzione,  attualmente  e' sprovvisto di un'altra valida offerta. I
 familiari sono a tutt'oggi impegnati per la ricerca di  una  regolare
 occupazione  che  possa  garantirgli  un  valido reinserimento socio-
 lavorativo".
    Sicche' il giudizio sulla condotta del Patellaro deve per forza di
 cose basarsi da un lato sul documento redatto  in  modo  estremamente
 sintetico  e  generico  dal dirigente del commissariato di P.S. Porta
 Nuova di Palermo e dall'altro sulle relazioni degli organi delle case
 circondariali di Termini Imerese e  di  Palermo,  che  hanno  fornito
 un'analisi  approfondita  della personalita' del detenuto e delle sue
 risposte alle proposte trattamentali offertegli.
    Ora, come  si  e'  sopra  precisato,  la  mera  regolarita'  della
 condotta   in   carcere  non  puo'  giustificare  la  concessione  di
 liberazione anticipata,  mentre  la  novella  legislativa  del  1986,
 vincolando il giudizio a un parere di poche parole dell'ufficio della
 p.  di  s., autorizza la riduzione di pena per i detenuti che abbiano
 tenuto regolare condotta durante la custodia cautelare in  regime  di
 arresti domiciliari.
    Se,  quindi,  le  relazioni  comportamentali  relative  al periodo
 trascorso in carcere avessero contenuto soltanto il riferimento a una
 "condotta regolare", il tribunale avrebbe dovuto rigettare  l'istanza
 di  liberazione  anticipata, mentre avrebbe dovuto accoglierla per il
 periodo trascorso agli arresti domiciliari alla  luce  del  documento
 del dirigente del commissariato di Porta Nuova.
    In  realta'  le  relazioni  redatte dagli organi penitenziari, che
 hanno illustrato in misura approfondita e esauriente il comportamento
 del Patellaro, hanno consentito al tribunale di motivare un  positivo
 giudizio di accoglimento.
    Ne'  puo'  sostenersi  in contrario che la mera "regolarita' della
 condotta"  e'  condizione  sufficiente  per  la   concessione   della
 riduzione  di  pena ai detenuti che hanno sofferto custodia cautelare
 in carcere, giacche' si dimentica che il requisiti della "regolarita'
 della condotta" si  atteggia  diversamente  rispetto  all'istituzione
 penitenziaria e rispetto alla misura degli arresti domiciliari.
    Nel  primo  caso  acquistano, invero, rilevanza i rapporti con gli
 organi penitenziari, con il personale  di  custodia,  con  gli  altri
 detenuti; e l'assenza di rilievi disciplinasri denota quanto meno che
 il   detenuto   si   e'   conformato   alle   norme   e  alle  regole
 dell'ordinamento  penitenziario  e  ha   mantenuto   correttezza   di
 comportamento e osservanza della disciplina carceraria.
    Cosa  che  evidentemente non e' dato riscontrare nel soggetto agli
 arresti domiciliari, nel corso dei quali vengono effettuati  saltuari
 controlli  dalle  autorita'  di P.S. solo allo scopo di verificare la
 presenza della persona in casa.
    D'altra parte, ed e' questo l'ultimo rilievo, durante gli  arresti
 domiciliari  non  si  garantiscono  "le  finanita'  rieducative della
 pena".  La  misura  consente,  infatti,   al   soggetto   di   vivere
 nell'ambiente  domestico,  quello  in  cui  ha  sempre  vissuto,  e i
 controlli  operati  dalle  forze  dell'ordine   sono   esclusivamente
 finalizzati  a  verificare  che  l'arrestato  non  si allontani dalla
 propria abitazione.
    Vero e' che nei confronti del detenuto in  custodia  cautelare  in
 carcere   non   puo'  ancora  formalmente  parlarsi  di  osservazione
 scientifica  della  personalita'  o   di   trattamento   rieducativo,
 trattandosi  di  un  soggetto  ancora  investito della presunzione di
 innocenza  e  non  ancora  condannato  in  modo  definitivo; nei suoi
 confronti puo' pero' parlarsi di prospettiva  rieducatrice,  giacche'
 egli  entra  a  far  parte  di  una  struttura,  qual'e'  oggi quella
 penitenziaria riformata, nella quale egli diventa portatore di doveri
 e di diritti,  nella  quale  e'  obbligato  all'osservanza  di  norme
 regolamentari  e  disciplinari  destinate  non  solo  alla  sicurezza
 interna  dell'istituto,   ma   anche   al   miglioramento   del   suo
 comportamento  e  del suo atteggiamento nei confronti delle relazioni
 intepersonali, e nella quale gli e' pure riconosciuta la facolta'  di
 accedere  al  trattamento  rieducativo  (art.  15, terzo comma, della
 legge n. 354/1975: "Gli imputati sono ammessi, a  loro  richiesta,  a
 partecipare  ad  attivita' educative, culturali e ricreative e, salvo
 giustificati   motivi   o   contrarie   disposizioni   dell'autorita'
 giudiziaria,   a   svolgere  attivita'  lavorativa  o  di  formazione
 professionale,  possibilmente  di  loro  scelta   e,   comunque,   in
 condizioni adegaute alla loro posizione giuridica").
    E'  anche  per  tale  motivo  che si giustifica la possibilita' di
 valutare non solo il periodo della detenzione  in  carcere  a  titolo
 definitivo, ma anche quello trascorso in stato di custodia cautelare.
    Non  v'e'  invece  alcuna giustificazione per il periodo trascorso
 agli  arresti  domiciliari,  nel  quale  manca  del  tutto  qualsiasi
 prospettiva rieducatrice.
    Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono, devesi pertanto
 denunciare l'illegittimita' costituzionale della  normativa  indicata
 per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione.